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La metafisica del corpo

Pubblicato: 21 ottobre 2012 in Uncategorized
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É la prima definizione che mi è venuta in mente per descrivere l’opera di Marina Abramovic, ma soprattutto la sua persona. Due cose che non si possono scindere. Marina è ontologicamente ciò che rappresenta con le sue performance. È questo l’aspetto che la rende unica.

Una donna che decide di usare il proprio corpo, che sente come limite come prigione come ostacolo, per dare vita proprio a ciò che di più profondo esso contiene, e non per superare o negare o nascondere l’Es, ma per sublimarlo, attraverso il Super Io, che, per forza di cose, questo mondo impone a tutti quanti, generando un Io forte, presente, fisico, mentale, violento e dolce allo stesso tempo.

Una donna che da bambina ha vissuto un’ infanzia severissima, da lei stessa definita priva di affetto, nonostante i suoi genitori siano stati partigiani e forti attivisti politici nell’ottica della liberazione dell’ex Jugoslavia.

Una donna che ha lasciato il suo paese e si è innamorata di un artista, Ulay, tedesco, e per 12 anni ha realizzato performance con lui, in un’ unità estrema, di coppia e di lavoro, di vita, simbiotica… Un unione finita così in un lampo, come è iniziata, nel mezzo della Muraglia Cinese, quando i due decisero di percorrerla in senso opposto per poi incontrarsi a metà.

Una donna che con quest’uomo ha vissuto in un camper per anni, senza soldi, con il sogno di diventare artista, e occupando ogni attimo della sua vita a pensare a come fare, a inventarsi performance, a scrivere, a immaginare e sognare.

Una donna che alla fine ce l’ha fatta, grazie alla sua semplicità, dolcezza, purezza e sincerità a divenire un’artista contemporanea tra le più famose a livello mondiale.

Una donna che ha dovuto essere famosa non per i soldi ma per il bisogno di amore che da sempre dentro di sé l’ha portata a confrontarsi col mondo, a cercare, trovare, capirsi, distruggersi

 e ricrearsi, per arrivare finalmente a essere lei stessa un’opera d’arte, amata, guardata, voluta, apprezzata, amata.

Nel documentario “The artist is present”, che mostra la mostra durata 3 mesi al Moma di New York, nella quale sono rappresentate da vari artisti le sue performance più famose, mentre lei è seduta su una sedia e per otto ore al giorno comunica con gli occhi con chi decide di sedersi di fronte a lei… In questo documentario viene alla luce la sua sensibilità e il sentimento che sta alla base del suo bisogno di fare arte, che fondamentalmente risiede nella solitudine e nela conseguente necessità dell’altro, che si realizza in maniera mirabile e direi perfetta!